https://www.agi.it/blog-italia/riccardo-luna/perch_salvini_ha_voluto_ringraziare_facebook_e_il_popolo_della_rete-3589961/post/2018-03-05/
Sono numeri enormi che anche le reti tv faticano a registrare. Quando sono andato a controllare i precedenti di questo risultato ho scoperto che non si trattava del record della campagna elettorale: il record infatti è per il comizio di Milano del 24 febbraio di Matteo Salvini, seguito sui social da un milione e settecentomila persone. Insomma, mentre i giornali, con rare esclusioni, li additavano come populisti, Salvini e Di Maio usavano i social per parlare direttamente con il popolo.
Un po’ come ha fatto Trump alle ultime elezioni americane che infatti hanno segnato la prima epica sconfitta del sistema dei giornali, tutti schierati contro quello che poi avrebbe vinto le elezioni anche grazie ad un utilizzo massiccio dei social (di Twitter in particolare).
Dire che M5s e Lega hanno vinto le elezioni grazie alla rete sarebbe una analisi semplicistica e riduttiva: Di Maio e Salvini sono stati onnipresenti anche su radio e tv oltre che sul territorio. Ma è indubbio che i social siano se non uno strumento quantomeno il termometro del loro successo, dalla capacità di intercettare l’attenzione delle persone.
E se per i M5s questo è in qualche modo naturale, trattandosi di un partito nato da un blog e da una serie di circoli territoriali organizzati tramite una app (i famosi meetup); la Lega social è la vera novità. Non a caso Matteo Salvini nella prima conferenza stampa dopo il trionfo, ha ripetuto più volte “Grazie popolo della rete, grazie Facebook”, un modo di mettere in luce un suo punto di forza: la pagina Facebook del leader leghista ha oltre due milioni di seguaci, nessuno in Italia è come lui, e in Europa ha appena raggiunto il presidente francese Macron e insegue solo Angela Merkel. (qui per un confronto le pagine di Renzi, un milione e 100 mila, e Di Maio, un milione e 400 mila).
Ma quella frase era anche un modo per mettere alla berlina i giornalisti, per avvertirli - alla Trump - che si può in qualche modo fare a meno di noi. Sicuramente il giornalismo ha delle colpe tutte le volte che non usciamo dalle redazioni e proviamo a spiegare il mondo raccontando solo i quartieri borghesi delle grandi città. Ma in America il giornalismo è rinato proprio grazie al successo di Trump. La dialettica fra potere e stampa è la base di una democrazia che funzioni, anche al tempo di Internet.
Dopo il trionfo elettorale il leader leghista fa come Trump e avverte i giornalisti di aver vinto anche grazie ai social: la sua pagina non ha rivali in Italia e in Europa ha appena raggiunto quella di Macron e insegue solo la Merkel. Ma dire che lui e Di Maio hanno vinto solo per Internet è esagerato
Per capire come sarebbero andate a finire queste elezioni politiche invece dei sondaggi bastava seguire con attenzione cosa accadeva su Facebook. Quando giovedì scorso il leader del movimento cinquestelle Luigi Di Maio ha presentato i diciassette candidati ministri, su Facebook la diretta è stata seguita da oltre un milione e mezzo di persone.
Sono numeri enormi che anche le reti tv faticano a registrare. Quando sono andato a controllare i precedenti di questo risultato ho scoperto che non si trattava del record della campagna elettorale: il record infatti è per il comizio di Milano del 24 febbraio di Matteo Salvini, seguito sui social da un milione e settecentomila persone. Insomma, mentre i giornali, con rare esclusioni, li additavano come populisti, Salvini e Di Maio usavano i social per parlare direttamente con il popolo.Un po’ come ha fatto Trump alle ultime elezioni americane che infatti hanno segnato la prima epica sconfitta del sistema dei giornali, tutti schierati contro quello che poi avrebbe vinto le elezioni anche grazie ad un utilizzo massiccio dei social (di Twitter in particolare).
Dire che M5s e Lega hanno vinto le elezioni grazie alla rete sarebbe una analisi semplicistica e riduttiva: Di Maio e Salvini sono stati onnipresenti anche su radio e tv oltre che sul territorio. Ma è indubbio che i social siano se non uno strumento quantomeno il termometro del loro successo, dalla capacità di intercettare l’attenzione delle persone.
E se per i M5s questo è in qualche modo naturale, trattandosi di un partito nato da un blog e da una serie di circoli territoriali organizzati tramite una app (i famosi meetup); la Lega social è la vera novità. Non a caso Matteo Salvini nella prima conferenza stampa dopo il trionfo, ha ripetuto più volte “Grazie popolo della rete, grazie Facebook”, un modo di mettere in luce un suo punto di forza: la pagina Facebook del leader leghista ha oltre due milioni di seguaci, nessuno in Italia è come lui, e in Europa ha appena raggiunto il presidente francese Macron e insegue solo Angela Merkel. (qui per un confronto le pagine di Renzi, un milione e 100 mila, e Di Maio, un milione e 400 mila).
Ma quella frase era anche un modo per mettere alla berlina i giornalisti, per avvertirli - alla Trump - che si può in qualche modo fare a meno di noi. Sicuramente il giornalismo ha delle colpe tutte le volte che non usciamo dalle redazioni e proviamo a spiegare il mondo raccontando solo i quartieri borghesi delle grandi città. Ma in America il giornalismo è rinato proprio grazie al successo di Trump. La dialettica fra potere e stampa è la base di una democrazia che funzioni, anche al tempo di Internet.
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