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Rublo e mercato azionario russo in caduta libera sulle nuove sanzioni USA contro decine di oligarchi vicini al presidente Vladimir Putin. E Mosca reagisce con una minaccia al dollaro.
Crolla il rublo sull’annuncio di venerdì di nuove sanzioni da parte degli USA contro decine di oligarchi russi legati al presidente Vladimir Putin e accusati di avere in un qualche modo interferito con le elezioni presidenziali americane di due anni fa e di continuarlo a fare con le altre democrazie occidentali. Immediata la reazione del cambio di Mosca, che tra ieri e oggi ha già perso quasi l’8%, attestandosi contro il dollaro a 63,2, ma sfiorando anche quota 64 nel corso della seduta odierna, indebolendosi ai livelli minimi da 16 mesi a questa parte. Contestualmente, la borsa russa ha accusato il colpo, con l’indice Rts ad essere crollato di oltre il 16% rispetto ai valori di chiusura di venerdì scorso, arretrando ai minimi da fine agosto scorso.
Il Tesoro americano ha voluto chiarire che tutti i 19 oligarchi e le 5 entità aggiunti nella “blacklist” da ben 189 nominativi ad oggi dovranno pagare d’ora in avanti per la loro vicinanza a un regime che tenta di destabilizzare stati stranieri. Tra i magnati colpiti dalle sanzioni USA vi è anche un genero di Putin, Kirill Shamalov, la cui ricchezza si è impennata drasticamente dal 2013, anno in cui ha sposato la figlia del presidente, Katerina Tikhonova.
Anche il re dell’alluminio, Oleg Daripaska, è finito nel mirino di Steve Mnuchin. Legato a Paul Manafort, ex capo della campagna presidenziale di Trump, l’uomo è accusato anche di riciclaggio di denaro e attività criminali all’estero. Il suo colosso Rusal è così rimasto vittima dell’embargo americano, cosa che sta facendo schizzare i prezzi internazionali dell’alluminio del 9,3% da venerdì ad oggi e ai massimi da un mese e mezzo a 2.175 dollari per tonnellata. Si consideri che l’alluminio era stato già oggetto di dazi al 10% da parte dell’amministrazione Trump e quello russo, contrariamente a quello di Europa, Messico, Australia e Canada, non era stato risparmiato dal balzello.
Il passo compiuto da Washington arriva nel bel mezzo delle già elevate tensioni tra Occidente e Russia sulla guerra delle spie, scatenata dall’avvelenamento con gas nervino di un ex agente del Kgb russo e della figlia sul territorio britannico e apparentemente dagli stessi servizi segreti russi, stando a Scotland Yard. Londra ha invocato e ottenuto dai partner europei e dagli USA una posizione dura contro il Cremlino, tanto che la Casa Bianca ha subito disposto l’espulsione di 60 diplomatici russi dall’America e altri 14 stati, tra cui l’Italia, l’hanno seguita.
La ritorsione russa contro i petrodollari
Drammatico il crollo azionario di due delle principali banche russe. Il titolo Sberbank ha perso il 17,3% da venerdì, VTB più del 9%. Naturale che siano sprofondate le azioni di Rusal del 55%. Il tonfo bancario, tuttavia, non lascia presagire granché di buono per la Russia, essendo considerati i relativi titoli una sorta di proxy per tracciare l’andamento del ciclo economico del paese. In effetti, il pil è in ripresa da 5 trimestri, ma i tassi di crescita restano contenuti, anche per via delle basse quotazioni del petrolio, che pur quasi triplicando dai minimi a cui si erano portati a inizio 2016, giacciono ancora a valori poco superiori alla metà di quelli raggiunti nella metà del 2014. L’inflazione è scesa ai minimi in era post-sovietica, consentendo alla Banca di Russia di tagliare i tassi al 7,25% dal 17% di 3 anni fa, ma con un cambio volatile, il governatore Elvira Nabiullina avrà minore raggio d’azione per sostenere la ripresa, non potendo allentare ulteriormente la politica monetaria con molta disinvoltura.
Per tutta risposta, ieri Mosca ha fatto sapere che sta considerando di utilizzare le valute nazionali per regolare gli scambi di petrolio con Iran e Turchia, altri due stati in conflitto con gli USA. Questo, mentre il premier Dmitri Medvedev ha annunciato lo studio di un pacchetto di misure a sostegno delle società colpite dalle sanzioni e di ritorsioni anti-USA. Il Cremlino punterebbe, quindi, a un’arma potente per cercare di spingere gli americani a più “miti” consigli. Il sistema dei petrodollari, infatti, sta molto a cuore a Washington, perché su di esso si fonda gran parte della capacità dell’America di indebitarsi nel pubblico, così come nel privato, a costi sostenibili e inferiori a quelli di altre economie avanzate, giovandosi di una valuta di riserva mondiale. E da qualche settimana la Cina ha avviato la negoziazione degli scambi di petrolio in yuan, ambendo negli anni a fare della sua valuta una concorrente asiatica del dollaro. Insomma, non è chiaro se la Russia abbia risposto pan per focaccia all’America o se sia stata la Casa Bianca ad anticipare il Cremlino con la comminazione di nuove sanzioni finanziarie, prima ancora che da Mosca arrivasse la nota contro il dollaro. Perché su una cosa possiamo stare certi: i petrodollari verranno difesi dagli USA con le unghia e con i denti. E dire che a breve Trump e Putin s’incontreranno.
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