Sono passati 9 anni da quando ebbi occasione di celebrare un altro 25 aprile in una località-simbolo, il borgo abruzzese di Onna, due volte martire, prima – durante la guerra - di una feroce rappresaglia dei nazi-fascisti, e poi del terremoto che in quell’anno 2009 distrusse il cuore dell’Abruzzo.
Quel giorno a Onna, nel rendere omaggio alle vittime, espressi un auspicio, che considero oggi più attuale che mai: quello di una pacificazione nazionale, che faccia del 25 aprile la festa davvero di tutti, perché la Resistenza, come il Risorgimento, è una delle basi della nostra identità nazionale.
I valori, gli ideali, le ragioni che spinsero allora tanti giovani a rischiare la vita per la Patria, la Libertà, la Dignità nazionale sono gli stessi valori che - al di là delle contrapposizioni e dei conflitti naturali e addirittura necessari in una democrazia - devono essere condivisi da tutti, perché sono alla base della convivenza civile in uno stato liberale e democratico.
Molti di quei giovani entrarono in clandestinità, salirono in montagna, qui a Porzùs come in tanti altri luoghi dell’Italia centro-settentrionale, spinti dall’orgoglio delle loro idee. In nome di quelle idee abbandonarono la famiglia, lo studio, il lavoro, e affrontarono una stagione fatta di disagi, di privazioni e di pericoli.
Fra loro vi erano Cattolici, Comunisti, Liberali, Monarchici, Azionisti, Socialisti, che seppero in tanti casi mettere da parte le contrapposizioni per rendere un comune servizio alla loro patria.
Non tutta la resistenza fu uguale, certo, e siamo qui a Porzùs proprio per ricordarlo. Vi fu chi si batteva per la libertà e per la patria, senza altri aggettivi, e chi considerava la guerra un passaggio della rivoluzione comunista. Il nemico era lo stesso, i metodi e gli obbiettivi erano profondamente diversi.
Qui a Porzus ricordiamo il martirio di una delle unità più valorose della Resistenza, la Brigata Osoppo, un martirio tanto più drammatico perché avvenuto ad opera non del nemico, ma di chi avrebbe dovuto essere alleato, fratello, compagno d’arme.
A Porzùs si è scritta forse la pagina peggiore della guerra partigiana, quella nella quale l’ideologia comunista prevalse su tutto, anche sull’interesse nazionale. La brigata Osoppo, fatta di partigiani moderati, per gran parte cattolici, fu davvero un grande simbolo di libertà e di dignità nazionale.
Combatteva per liberare l’Italia dall’occupazione nazista, ma combatteva anche per salvaguardare l’italianità di queste terre, e difenderle da una nuova dittatura, rossa invece che nera, ma non per questo meno feroce.
Le tragiche vicende delle foibe, a poche decine di chilometri da qui, ci dimostrano quanto grave fosse il pericolo del terrorismo e della repressione, nazionalista e comunista insieme, messa in atto dai partigiani di Tito con la complicità, dispiace dirlo, dei comunisti italiani.
Furono anzi proprio loro, i comunisti italiani, su ordine di Tito, a massacrare i loro compagni della Osoppo.
Allora perché celebrare il 25 aprile proprio qui, dove la Resistenza scrisse una delle sue pagine peggiori, forse la peggiore in assoluto?
Prima di tutto proprio per rendere omaggio agli Eroi e ai Martiri della Libertà. Tutti gli italiani hanno un grande debito verso chi ha inteso la resistenza come l’hanno intesa i ragazzi della Osoppo, come una grande battaglia per la Libertà.
Poi perché conoscere, ricordare, commemorare episodi come questo è la condizione necessaria perché la Resistenza sia davvero un patrimonio che appartiene a tutti.
Per molti anni nel dopoguerra la sinistra ha rivendicato una sorta di esclusiva della lotta partigiana. Il 25 aprile era diventato la festa di una parte, non di tutti gli italiani. Di Porzùs, come delle foibe, come delle stragi nel triangolo rosso dopo la liberazione, non era consentito parlare. Chi osava farlo, era bollato come nostalgico del Fascismo.
E invece proprio la complessità, la drammaticità, le contraddizioni della Resistenza ne fanno non un mito retorico ma una pagina di storia vera, che – come ogni vicenda storica - è fatta anche di errori in buona fede e di crimini efferati.
Prendere atto di questo significa capire il nostro passato, non certo per essere neutrali o per svalutare il coraggio di chi si è battuto per la Libertà, ma al contrario per stare consapevolmente dalla parte di chi ha scelto di essere libero e di battersi perché lo fossero le generazioni seguenti.
Molti italiani allora, molti giovani, dopo l’8 settembre si trovarono di fronte a scelte drammatiche. Furono in tanti a scegliere la strada della Libertà.
A loro dobbiamo essere grati non solo per la sconfitta dei nazifascisti, che sarebbe avvenuta in ogni, caso, ma perché con il loro sangue e il loro sacrificio riscattarono l’onore dell’Italia facendone parte attiva dello sforzo bellico dei popoli liberi.
Penso naturalmente alle formazioni partigiane di ogni colore politico, ma non soltanto a loro.
Dobbiamo ricordare i tanti ufficiali e soldati dell’Esercito, della Marina, dell’Aeronautica, che - per fedeltà al Re o semplicemente all’Italia - hanno combattuto contro i tedeschi in condizioni difficilissime. I martiri di Cefalonia, gli eroi di Montelungo, i marinai della corazzata Roma che hanno scritto pagine tragiche e gloriose di valore militare.
Dobbiamo ricordare ancora i tanti militari italiani internati in Germania, la maggioranza dei quali rifiutò l’offerta della libertà in cambio della collaborazione con la Repubblica Sociale, preferendo la prigionia in condizioni durissime al tradimento dei loro ideali.
E naturalmente come ogni italiano non posso non pensare con gratitudine e commozione ai ragazzi americani, inglesi e ai ragazzi dei tanti Paesi alleati che hanno combattuto per la nostra libertà. Senza il loro aiuto, con le nostre sole forze, avremmo potuto fare ben poco. Senza lo straordinario impegno degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, della Russia, il nazismo non sarebbe mai stato confitto in Europa.
Fra gli eroi che hanno combattuto per la nostra libertà merita un pensiero commosso un’unità particolare, la Brigata Ebraica, inquadrata nell’esercito britannico.
Un corpo armato che raccoglieva volontari ebrei, molti dei quali fuggiti dai ghetti di tutt’Europa, scampati per un soffio all’Olocausto e ancora pronti a rischiare la vita per la libertà di tutti. Il fatto che oggi la partecipazione delle insegne delle Brigata Ebraica alle celebrazioni del 25 aprile sia oggetto di contestazioni, al punto che la comunità ebraica di Roma ha deciso di rinunciare, vuol dire due cose: che l’antisemitismo non è affatto morto e che c’è chi – per fortuna solo pochi facinorosi - non ha capito nulla del valore unificante della liberazione. Una liberazione che per evidenti motivi nessuno ha più ragioni e più diritto di celebrare se non il popolo ebraico, principale vittima anche in Italia della follia criminale di Hitler.
oggi deve essere davvero la festa di tutti gli Italiani, perché celebriamo la libertà, che in Italia vinse il 25 aprile 1945 e che poi vinse di nuovo con le elezioni del 18 aprile 1948, una scelta decisiva della quale abbiamo commemorato da poco il 70° anniversario.
E’ grazie a quelle due vittorie che oggi siamo un Paese libero: un Paese che noi stessi spesso critichiamo, perché sappiamo che tante sono le cose che non funzionano, ma un paese meraviglioso che ci ha regalato settant’anni di libertà.
La libertà – diceva Piero Calamandrei il grande giurista e il grande protagonista dell’Antifascismo e della Costituente – è come l’aria: ci si accorge di quanto è importante solo quando manca.
La mia generazione ha fatto in tempo a capire cosa significasse la mancanza di libertà. Ho trascorso una parte della mia infanzia senza mio padre, costretto all’esilio in Svizzera per le sue idee antifasciste. Furono anni duri e rischiosi per mia madre, incinta e costretta a recarsi al lavoro ogni giorno a Milano dal paesino vicino a Como del quale eravamo sfollati per sfuggire ai bombardamenti. Viaggi precari e spesso rischiosi, nel corso di uno dei quali riuscì a salvare una ragazza ebrea da un rastrellamento compiuto da soldati tedeschi.
Sono convinto che la libertà sia il più grande dono che i nostri padri ci hanno lasciato in eredità. Dobbiamo esserne degni e questo significa ritrovare lo spirito con il quale allora i nostri padri furono capaci superare le ideologie per combattere un nemico comune, ma anche per costruire una Costituzione nella quale tutti potessero riconoscersi, e un modello di convivenza civile che regge tuttora, anche in tempi così diversi dal passato.
E’ questo un grande insegnamento della nostra storia, che si dimostra particolarmente attuale in una stagione confusa della politica, nella quale l’Italia è frammentata è divisa. Per questo è ancora più importante oggi ricuperare la comune appartenenza ad un sistema di valori, di regole, di identità come quello che ci è stato regalato da chi si è battuto per fare dell’Italia un Paese libero.
Un Paese nel quale ogni idea, ogni opinione, ogni scelta avesse piena cittadinanza, nella naturale dialettica fra posizioni diverse, ma nel rispetto reciproco e nella solidarietà fra italiani.
Il linguaggio della politica non dovrebbe mai perdere di vista tutto questo, non dovrebbe mai assumere toni livorosi e aggressivi verso l’avversario, dal quale è naturale dissentire, ma che non deve mai diventare un nemico. L’insulto, l’odio, i veti, le preclusioni verso chi rappresenta un consenso democratico non sono nello spirito del 25 aprile.
Anche per questo come già ebbi a dire in occasione del mio intervento ad Onna mi piacerebbe che questo giorno avesse un nome diverso: non più solo Festa della Liberazione,
ma Festa della Libertà.
La Liberazione è certamente una pagina storica importante, la Libertà è un valore permanente, un valore di tutti, un grande valore condiviso.
Dalla parte della libertà stavano i martiri della Osoppo, stavano i Partigiani, stavano i Soldati dell’Esercito del Sud, stava l’Italia migliore.
Lo dico senza mancare di rispetto a chi allora compì scelte diverse, seguì Mussolini, e lo fece con coraggio pagando spesso un prezzo molto elevato. Molti di loro – oggi possiamo dirlo serenamente – non si macchiarono di crimini, ma combatterono con coraggio in nome di una malintesa fedeltà a un’alleanza, a un capo, a un’idea.
Meritano rispetto, dicevo, ma senza dimenticare che combattevano dalla parte sbagliata. La pietà accomuna tutte le vittime, ma gli ideali non sono tutti uguali, e il giudizio storico non può mettere sullo stesso piano i difensori della libertà e i suoi nemici.
La religione della libertà, di cui parlava allora Benedetto Croce, è la nostra religione civile.
E’ su questa religione civile che dobbiamo costruire il futuro del Paese che vogliamo lasciare in eredità ai nostri figli e ai nostri nipoti. La Libertà non è mai acquisita per sempre, non è mai esente da pericoli, la storia drammatica del XX° secolo è lì a dimostrare quanto i sistemi democratici possano rivelarsi fragili di fronte a tentazioni totalitarie al loro interno o ad aggressioni dall’esterno.
Oggi i pericoli non sono quelli di allora, ma come allora vi è una diffusa stanchezza per i limiti e il cattivo funzionamento del sistema democratico, vi è una grave crisi sociale in atto, vi sono elementi aggressivi dall’esterno come l’integralismo islamico.
Tutte le forze politiche hanno il dovere di essere responsabili, nel linguaggio e nei comportamenti: il calcolo politico non può portare a disgregare quella convivenza democratica faticosamente acquisita settant’anni fa e mantenuta in epoche difficili, dalla guerra fredda al terrorismo.
Noi siamo impegnati in questo.
Siamo impegnati oggi – consentitemi solo una parola sull’attualità - a cercare una soluzione alla crisi politica, senza veti né preclusioni, rispettosa del voto espresso dagli italiani.
Oggi purtroppo solo il centro-destra sembra davvero consapevole dell’importanza della posta in gioco, solo Forza Italia sta prendendo sul serio la richiesta di cambiamento e di soluzione dei problemi che è uscita dalle urne il 4 marzo.
Questo non è un momento elettorale, fare propaganda elettorale qui oggi sarebbe irrispettoso verso i martiri di Porzùs e della resistenza tutta. Ma sono certo che i Friulani e i Giuliani, quando domenica si recheranno alle urne, avranno ben presenti questi comportamenti, e sapranno bene come votare.