Anche se non sono numerose come quelle cinesi, esistono diverse importanti varietà di tè giapponesi. Secondo la tradizione il tè fu introdotto in Giappone da un monaco buddista di nome Eisai; inizialmente e per molto tempo al consumo di questa bevanda furono associate profonde valenze religiose e mistiche. Col tempo però, gli aspetti legati all’eleganza formale presero il sopravvento, fino a che nel XVI secolo il monaco Sen-no Rikkyu ripristinò l’antico significato spirituale, codificando il complesso rituale della cerimonia giapponese del tè, osservato fino ad oggi.
Vogliamo quindi fare una panoramica su alcuni dei principali tè giapponesi. Non potendo prenderli tutti in considerazione, ne abbiamo scelti quattro, di qualità e caratteristiche diverse, che riteniamo abbastanza rappresentativi del gusto giapponese. Si tratta in ogni caso di tè verdi, ricordiamo infatti che i tè fermentati – o meglio ossidati – non sono apprezzati in Cina e Giappone, e vengono prodotti quasi esclusivamente per il mercato russo e occidentale.
Bancha.
Coltivato nella regione di Shizuoka, ai piedi del monte Fuji, è un tè di qualità modesta, essendo ottenuto dalle foglie raccolte per ultime (in estate), anche con gambi e rametti; di conseguenza è assai economico. Si tratta però di un tè che io definirei “onesto”, nel senso che quel poco che promette lo mantiene. Ha infatti un gusto e un aroma gradevole, vagamente erbaceo, molto delicato. Il colore sia delle foglie (tendente al marrone) che dell’infuso (simile a quello dei tè neri) non deve trarre in inganno; come abbiamo detto si tratta infatti di un tè verde, anzi di uno dei tè a minore contenuto di caffeina. Per questo motivo lo si può consumare tranquillamente la sera. È ottimo dopo i pasti o, meglio ancora, per pasteggiare. Naturalmente in questo caso è richiesto un certo criterio per quanto riguarda gli abbinamenti. Sconsiglierei infatti di accompagnare carni rosse o fritti con una tazza di tè Bancha; molto meglio si sposa con verdure crude, riso, piatti della tradizione orientale (anche speziati) e pesce. La preparazione del Bancha non presenta particolari difficoltà; proprio per il suo carattere poco deciso non c’è infatti pericolo di ottenere un infuso troppo forte e lo si può lasciare in infusione a lungo senza che diventi tannico. Per evitare il rischio opposto (infuso troppo debole, insapore) sarà opportuno non lesinare; diciamo un cucchiaino colmo per tazza più uno per la teiera.
Sencha.
È il tè simbolo del Giappone, di cui costituisce l’80% dell’intera produzione nazionale. La qualità può essere scadente come elevata, a seconda del periodo di raccolta e, corrispondentemente, anche i prezzi sono variabili. I migliori tè Sencha sono quelli le cui foglie – arrotolate ad ago di pino – sono più tenere e scure. La foglia emana un fresco profumo di clorofilla, con note di pepe bianco che danno un carattere secco rispetto ad altri tè dall’aroma simile (ad esempio il celebre tè cinese Lung Ching, decisamente più dolce). L’infuso, poi, prima che per il palato è una gioia per gli occhi; presenta infatti un bel colore verde brillante, limpido, che in alcuni casi può virare verso il giallo. Il gusto è però meno “allegro” di quanto ci si potrebbe aspettare; già al primo sorso ci parla della composta perfezione formale dello spirito giapponese e della capacità – tipica di quella tradizione spirituale – di fermare la mente in attimi di silenzio senza tempo. Mi rendo comunque conto che è difficile (e forse ha anche poco senso) tentare di descrivere a parole quella che è sostanzialmente un’esperienza coinvolgente tutta la persona e nella quale il sapore rappresenta solo una parte; non bisogna dimenticare infatti che da sempre il tè nella tradizione giapponese ha una valenza eminentemente spirituale. Il Sencha è un tè da bere preferibilmente nel pomeriggio; taluni lo consigliano anche come tè da pasto, ma su questo personalmente non sono d’accordo. La preparazione di questo tè non è difficilissima, ma vi è il rischio che venga troppo forte. Sarà bene quindi non utilizzare troppe foglie: un cucchiaino raso per tazza più mezzo cucchiaino per la teiera potrà bastare. Si dovrà inoltre stare attenti al tempo di infusione, che sarà bene non superi i tre minuti. La temperatura dell’acqua infine – ma ciò vale per qualsiasi tè verde – dovrà essere ben al di sotto del punto di ebollizione: 80, ma anche 70 gradi.
Gyokuro.
Il suo nome vuol dire “perla di rugiada”, o anche “rugiada preziosa” ed è uno dei tè più rinomati. In Giappone non viene bevuto quotidianamente, ma solo quando c’è qualche occasione, ad esempio per la visita di un ospite. Caratteristico della coltivazione del Gyokuro è il fatto che qualche settimana prima della raccolta (che avviene in primavera) le piante vengano coperte da teli. L’ombra favorisce in tal modo la produzione di clorofilla e le foglie (che, come per ogni tè pregiato, sono le più tenere e giovani) assumono così il caratteristico colore verde scuro e un aroma dolce, con note di frutti rossi e cuoio. La lavorazione prevede l’essiccamento all’aperto che può avvenire su stuoie o in cesti di bambù, in questo secondo caso la foglia assumerà nel prodotto finale una forma allungata e sottile. Le altre fasi della lavorazione sono quelle tipiche di tutti i tè verdi, con un passaggio al vapore precoce in modo da distruggere gli enzimi responsabili dei processi ossidativi. Come per il Sencha, anche nella preparazione del Gyokuro è importante non usare troppe foglie e limitare il tempo di infusione. Si ottiene così una bevanda di un bel verde brillante, dal gusto persistente ma delicato, con un leggero retrogusto dolce che – specie al primo sorso – dona una indefinita sensazione di serena armonia che si espande dal palato a tutto il corpo, favorendo la pacificazione dei pensieri. Il Gyokuro è un tè per il pomeriggio che andrebbe fruito con una certa consapevolezza; quindi non il classico “tè delle cinque” di ogni giorno, ma un piccolo regalo da fare a noi stessi (e ai nostri amici, se non siamo soli) quando abbiamo un po’ di tempo e di tranquillità per poterne pienamente godere.
Matcha.
Chiamato anche “spuma di giada liquida”, esso rappresenta senza dubbio il vertice dei tè giapponesi (e non solo). Pregiatissimo, è molto costoso e richiede una preparazione particolare, completamente diversa da quella di tutti gli altri tè. Innanzitutto il modo in cui si presenta: è una polvere finissima e molto profumata di un intenso color verde smeraldo. Questa polvere viene ottenuta da foglie della migliore qualità di Gyokuro finemente sbriciolate in frantoi di pietra. La preparazione non potrà essere quindi quella di tutte le altre specie di tè, infatti anziché un infuso avremo adesso una sospensione. La polvere viene unita in una larga ciotola all’acqua (che non deve assolutamente essere bollente, meglio tenersi ben al di sotto dei 70 gradi) e viene poi mescolata con un frullino ottenuto da un pezzo di canna di bambù tagliato finemente, chiamato chasen. A quel punto il liquido assume una bellissima colorazione verde scura, e sulla superficie si viene a formare un sottile strato di schiuma dal colore più chiaro (di qui il nome “spuma di giada”). È chiaro che in questo modo le sostanze presenti nel tè che si assumono sono in una concentrazione ben maggiore rispetto all’usuale infusione; viene infatti consumata tutta la foglia, che è interamente presente nella bevanda, ancorché in forma di polvere. In particolare le vitamine B1, B2 e C, beta-carotene, sali minerali, polifenoli e, non ultima, la caffeina, che favorisce uno stato di vigile attenzione; per questo motivo, ben prima che il Matcha diventasse il protagonista della cerimonia giapponese del tè, veniva utilizzato dai monaci come ausilio per la meditazione. Inoltre, il gusto del Matcha è simile a quello del Gyokuro, ma più accentuato, fresco, erbaceo, che può sfociare in un leggero retrogusto amaro. Per mantenere la sua fragranza, alcuni testi consigliano di conservare la polvere del Matcha in frigorifero, devo però confessare che non ho mai avuto il coraggio di compiere una simile “profanazione”.
Dicevamo della cerimonia giapponese del tè; sarebbe troppo lungo trattare in questa sede il complesso rituale che rappresenta un aspetto fondamentale della cultura e del costume della terra del Sol Levante (ci proponiamo però di dedicare all’argomento uno dei prossimi articoli), vogliamo però solo evidenziare come – a dispetto della minuziosa sequenza di gesti che tale cerimonia prevede – il suo profondo significato risieda nella ricerca del vuoto interiore e di una profonda essenzialità (il nome giapponese per tutto il rituale è Chanoyu, che significa semplicemente “acqua per il tè”). Da questo punto di vista il Matcha è veramente il tè ideale che favorisce la disposizione della mente a superare il chiacchiericcio continuo dei pensieri contingenti per accedere a bolle di silenzio e di pura serenità. Infine, vorrei segnalare un utilizzo “non convenzionale” del Matcha: questo tè può infatti essere utilizzato in cucina per caratterizzare salse, creme, biscotti ecc. Ad esempio basta unire un cucchiaino di polvere (preventivamente sciolta in due dita d’acqua per evitare grumi) a 100 grammi di crema pasticcera per ottenere una bellissima crema verde chiara dall’inconfondibile gusto di tè verde.
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