Soltanto nel XVIII secolo gli europei scoprirono lo sciroppo ricavato dalla linfa di due specie di acero (Acer saccharum e A. rubrum). Gli indiani nativi del Canada, invece, lo conoscevano da secoli e furono proprio loro a insegnare ai coloni come produrre lo sciroppo. Incredibilmente, questa lavorazione non è cambiata molto nel corso dei secoli e ancora oggi avviene in modo simile a quella originaria degli indiani. In sostanza si tratta di praticare un’incisione nella corteccia, raccogliere la linfa e farla addensare per ebollizione in grandi recipienti, che un tempo erano di argilla. La bollitura prolungata consente di ottenere un liquido denso, lo sciroppo, appunto; ulteriormente condensato, questo dà lo zucchero d’acero, usato come dolcificante ai tempi delle colonie ma oggi consumato solo sotto forma di bastoncini di zucchero caramellato. In entrambi i casi, si ha a che fare con un prodotto costoso perché ci vogliono 40 l di linfa per ottenere 1 l di sciroppo. Però, mentre lo zucchero d’acero ha perso competitività davanti all’avanzata dello zucchero di barbabietola, lo sciroppo d’acero è ancora apprezzato nell’America del Nord. Cialde e pancakes, gelati, mousse e budini si giovano dell’accompagnamento di questo sciroppo, ma anche verdure glassate, pane al mais, salmone, prosciutto cotto in casa.
La qualità dello sciroppo d’acero è variabile. Il migliore viene raccolto da fine febbraio a metà aprile e cotto lentamente fino a dare un liquido ambrato di gusto delicato; di minor pregio lo sciroppo scuro, ricavato da raccolte tardive e addensato troppo rapidamente. Il contenuto di zuccheri si aggira sul 43% ed è composto in prevalenza da saccarosio, come lo zucchero bianco. A differenza di questo, però, lo sciroppo d’acero non è un prodotto raffinato e contiene inoltre un po’ di vitamine e sali minerali (in particolare vitamina B1, ferro e calcio), praticamente assenti nello zucchero bianco.
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