Fino agli inizi del secolo scorso (1908) la scienza riconosceva ufficialmente solamente quattro gusti fondamentali percepiti dai recettori della lingua: dolce, salato, amaro e acido (o aspro).
La classificazione però, molto "autarchica" non teneva in considerazione quanto invece era esperienza comune nei territori d'oriente, cioè la capacità di quel popolo di percepire un quinto gusto fondamentale: l'umami.
Si deve così al giapponese Kikunae Ikeda, già dal 1908, la scoperta e la successiva definizione, universalmente riconosciuta, dell'umami, tipica dei cibi ricchi di proteine e caratterizzata da un gusto sapido, derivante dalla presenza di composti simili al Glutammato monosodico (comune dado da brodo).
Ma questa "globalizzazione del gusto" tarda ad essere accettata nel mondo occidentale, al punto che ancora oggi, nei testi di fisiologia umana, continua ad essere taciuta la definizione di questo quinto, per nulla misterioso, gusto.
A scompigliare certezze fin qui acquisite ecco che all'Università Deakin di Melbourne (Australia) un gruppo di scienziati guidati dal Dr Russell Keast e da Jessica Stewart, in collaborazione con colleghi dell'Università di Adelaide, CSIRO, e Massey University (Nuova Zelanda), ha individuato un sesto sapore, da aggiungere ai noti dolce, salato, amaro, acido e umami, quello del grasso.
La scoperta del gusto di grassi potrebbe essere la chiave per ridurre l'obesità.
Usando una serie di esperimenti di assaggio dei sapori, i ricercatori dell'Università australiana hanno concluso - come riporta una notizia d'agenzia - che gli esseri umani identificano il gusto del grasso dalla sua composizione chimica, non dalla sua consistenza.
Le persone coinvolte inizialmente nella ricerca, anche se con diversi gradi di sensibilità, hanno riconosciuto una vasta gamma di acidi grassi che si trovano comunemente negli alimenti - tra cui l'acido oleico e linoleico tipici dell'olio extravergine di oliva - in bevande al flavour di latte.
La prova successiva ha poi dimostrato come la differente sensibilità al gusto del grasso fosse collegata al peso corporeo delle volontarie "cavie", un'individuazione in grado di aiutare la lotta contro l'obesità.
Abbiamo scoperto che le persone sensibili ai grassi alimentari, in grado di riconoscere il gusto del grasso a concentrazioni molto basse, finiscono per mangiare meno cibi ipercalorici rispetto a quelle insensibili, spiega Keast, e abbiamo visto anche che le prime hanno un indice di massa corporea inferiore alle seconde. Ora siamo interessati a capire perché alcune persone sono sensibili ed altre no, in modo che si possa aiutare le persone a ridurre il loro apporto di grassi e sviluppare nuovi alimenti a basso tenore di grassi.La recente scoperta, riferiscono alcuni medici nutrizionisti, potrebbe aiutare a contrastare l'epidemia di obesità ed aprire la strada alla produzione di alimenti anti-obesità, dal sapore più accattivante, che ingannino l'organismo, dando la sensazione di aver soddisfatto la voglia di cibo grasso.
La classificazione però, molto "autarchica" non teneva in considerazione quanto invece era esperienza comune nei territori d'oriente, cioè la capacità di quel popolo di percepire un quinto gusto fondamentale: l'umami.
Si deve così al giapponese Kikunae Ikeda, già dal 1908, la scoperta e la successiva definizione, universalmente riconosciuta, dell'umami, tipica dei cibi ricchi di proteine e caratterizzata da un gusto sapido, derivante dalla presenza di composti simili al Glutammato monosodico (comune dado da brodo).
Ma questa "globalizzazione del gusto" tarda ad essere accettata nel mondo occidentale, al punto che ancora oggi, nei testi di fisiologia umana, continua ad essere taciuta la definizione di questo quinto, per nulla misterioso, gusto.
A scompigliare certezze fin qui acquisite ecco che all'Università Deakin di Melbourne (Australia) un gruppo di scienziati guidati dal Dr Russell Keast e da Jessica Stewart, in collaborazione con colleghi dell'Università di Adelaide, CSIRO, e Massey University (Nuova Zelanda), ha individuato un sesto sapore, da aggiungere ai noti dolce, salato, amaro, acido e umami, quello del grasso.
La scoperta del gusto di grassi potrebbe essere la chiave per ridurre l'obesità.
Usando una serie di esperimenti di assaggio dei sapori, i ricercatori dell'Università australiana hanno concluso - come riporta una notizia d'agenzia - che gli esseri umani identificano il gusto del grasso dalla sua composizione chimica, non dalla sua consistenza.
Le persone coinvolte inizialmente nella ricerca, anche se con diversi gradi di sensibilità, hanno riconosciuto una vasta gamma di acidi grassi che si trovano comunemente negli alimenti - tra cui l'acido oleico e linoleico tipici dell'olio extravergine di oliva - in bevande al flavour di latte.
La prova successiva ha poi dimostrato come la differente sensibilità al gusto del grasso fosse collegata al peso corporeo delle volontarie "cavie", un'individuazione in grado di aiutare la lotta contro l'obesità.
Abbiamo scoperto che le persone sensibili ai grassi alimentari, in grado di riconoscere il gusto del grasso a concentrazioni molto basse, finiscono per mangiare meno cibi ipercalorici rispetto a quelle insensibili, spiega Keast, e abbiamo visto anche che le prime hanno un indice di massa corporea inferiore alle seconde. Ora siamo interessati a capire perché alcune persone sono sensibili ed altre no, in modo che si possa aiutare le persone a ridurre il loro apporto di grassi e sviluppare nuovi alimenti a basso tenore di grassi.La recente scoperta, riferiscono alcuni medici nutrizionisti, potrebbe aiutare a contrastare l'epidemia di obesità ed aprire la strada alla produzione di alimenti anti-obesità, dal sapore più accattivante, che ingannino l'organismo, dando la sensazione di aver soddisfatto la voglia di cibo grasso.
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