Un elemento che ha influenzato i modi di cuocere nel Medio Oriente è la scarsità di combustibile: legna, carbonella, sterco di cammello e così via. Le tecniche di cucina hanno dovuto tenere conto di tale fattore, e per questa ragione buona parte delle ricette della gastronomia tradizionale dell’area prevedono lunghi tempi di cottura con poco calore.
Di solito in cucina c’era un solo fornello, il che incideva sul menù: si mangiavano e si mangiano per lo più antipasti freddi o appena tiepidi, preparati in precedenza.
Il mezzé, portata che precede il pasto vero e proprio, in Medio Oriente è un’autentico monumento nazionale. Rappresenta fin dai tempi dei sultani un rito collettivo al quale nessuno oserebbe sottrarsi.
La tradizione ci riporta agli antichi fasti dei banchetti di corte dell’era ottomana (XIX sec.), quando venivano offerti all’ospite un’infinità di piccoli piatti, che grazie alle diverse forme e colori dovevano sedurre l’occhio prima ancora del palato.
Questa grande varietà di salse dalla consistenza cremosa, come l’hummos di ceci o le melanzane delizia del sultano, insieme a raffinate insalate a base di grano spezzato (bourghol) e verdure tagliate minuziosamente, ancora oggi si acocmpagnano con il pane non lievitato servito caldo.
Quest’ultimo, staccato a bocconi e imprigionato tra il pollice, l’indice ed il medio della mano destra, sostituisce l’uso delle posate e del piatto.
Da tali nobili origini deriva pure una tradizione popolare fra le donne contadine della vallata della Bekaa (Libano), oasi fertile di frutti e verdure, le quali celebravano il rito del raccolto facendo provviste e realizzando conserve per l’inverno.
La tradizione del mezzé, si sarebbe poi diffusa per celebrare le feste agricole e quelle religiose, intorno ad una tavola imbandita con decine di delizie.
Mentre si discute ancora sull’origine del termine mezzé, per alcuni trascrizione fonetica del verbo “tamazzaza” (gustare a piccoli bocconi), per altri dal vocabolo turco “mezegater” (tavola), è bene sapere che questo culto per gli antipasti, rappresenta per i libanesi il miglior pretesto per brindare allegramente con la bevanda nazionale: l’arack, distillato d’uva aromatizzato all’anice verde di Damasco, noto anche come “lacrime della Vergine” (comunità cristiane) o “latte dei leoni”.
Nessun commento:
Posta un commento